LA COMPONENTE MENTALE DELL’ALLENAMENTO PER I “NUMERO 1”
“È bravo, ma non ha la testa!”
“Non ha gli attributi necessari...”
“È troppo emotiva!”
“Il suo vero problema è che non pensa.”
“Si lascia prendere troppo dalle emozioni.”
Quante volte hai sentito una di queste frasi? Pronunciate da genitori, allenatori, preparatori, dirigenti e atleti. Tutte raccontano qualcosa in riferimento al fattore mentale nella prestazione sportiva. Tuttavia, lo fanno in maniera grossolana, superficiale, imprecisa e paradossale.
Nella prestazione la componente mentale è nei pensieri e sulla bocca di tanti, si ritiene che sia fondamentale. Ma osserviamo cosa succede un po’ prima di arrivare in gara.
Quanto spazio e tempo si dedicano alla componente mentale durante l’allenamento? E nei settori giovanili? A chi sono rivolti i programmi di preparazione mentale? Solo agli atleti o a tutto il movimento?
Non ho scritto a caso “spazio e tempo”, perché nei casi in cui ci si dedica del tempo qual è lo spazio della preparazione mentale? È forse qualcosa di relegato ai margini del campo o solo fuori dal campo? Oppure è qualcosa di veramente integrato “in campo”?
Rispetto al passato, anche solo dieci anni fa, sono stati fatti tanti progressi. Ma provando a rispondere alle domande qui sopra ognuno di noi, con la propria esperienza, si può fare un’idea di quanto ancora sia da migliorare la gestione della componente mentale nella complessità del movimento sportivo. Ma non solo.
Queste considerazioni possono estendersi anche alla salute e al benessere personale. Tendiamo a non considerare vantaggioso per il nostro benessere l’allenamento mentale, a meno che...
...non ci siano dei problemi! Poi, tutti a correre ai ripari. Ma ciò che si può fare in quel momento è molto limitato rispetto a quanto è possibile raggiungere con un allenamento mentale inserito nella crescita di un atleta, ma più in generale di una persona.
La buona notizia? Si può cambiare attraverso l’allenamento!
Per molto tempo la scienza ha creduto che i nostri circuiti cerebrali fossero immutabili, in qualche modo preordinati per funzionare in un determinato modo fino alla morte, con le stesse risorse per tutta la vita. E si credeva che anche con i processi di invecchiamento il sistema nervoso andasse incontro ad un declino inevitabile.
Questa ideologia è stata completamente ribaltata dalla scoperta della neuroplasticità. Senza scendere nella storia di questo termine, posso dire che la dimostrazione è avvenuta nel 2000 e ha fruttato il premio Nobel a Eric Kandel, che ha scoperto come l’apprendimento possa attivare geni in grado di modificare la nostra architettura neurale.
Tra le implicazioni della sua teoria ci sono i risultati di una ricerca inglese che ha coinvolto due noti pittori senza braccia, che dipingono usando solo le dita dei piedi. Di solito le dita dei piedi, al contrario delle dita delle mani, sono rappresentate nelle nostre mappe cerebrali molto approssimativamente. Invece, in questi artisti è stata riscontrata, attraverso risonanza magnetica, un’organizzazione della corteccia somatosensoriale in cui ogni singolo dito veniva rappresentato in maniera ben definita. E non solo, infatti alla stimolazione dei piedi corrispondeva un’attività neurale dell’area che avrebbe dovuto originariamente occuparsi del controllo delle mani.
Quindi le connessioni neurali non utilizzate spariscono, subiscono un processo che viene definito di potatura. Perciò le azioni, i pensieri, le esperienze che viviamo ripetutamente (e collegate a un’emozione) diventano più facili da attuare e al contrario quello che non facciamo con costanza diventa più difficile e meno immediato da recuperare quando serve.
Nello specifico, se non ci occupiamo di allenare alcune abilità psicologiche, poi non le avremo a disposizione nel momento del bisogno, nel nostro caso in gara. La buona notizia, quindi, è che le abilità mentali (al pari di quelle fisiche, ad esempio) possono essere allenate con un programma di preparazione mentale.
Ma in cosa consiste un programma di preparazione mentale?
Un supporto indispensabile
Un buon programma di preparazione mentale viene costruito come un abito su misura per uno specifico atleta o realtà sportiva. Tuttavia, come anticipato, occorre che si tenga in considerazione di tutto il contesto, non solo del singolo atleta. Ad esempio, nel caso di un settore giovanile i destinatari dovranno essere sia i giovani atleti che gli allenatori, i dirigenti e i genitori.
Per quanto riguarda un singolo atleta, i temi di lavoro più comuni sono la gestione delle emozioni, l’allenamento della concentrazione, lo sviluppo di una buona leadership, la comunicazione, il potenziamento dell’intelligenza agonistica, ecc.
Le aree di sviluppo di allenatori, dirigenti e genitori comprendono soprattutto la definizione dei ruoli, la gestione di una squadra, la relazione genitore-figli, e così via.
Il delicato ruolo dei “Numeri 1”
Negli sport di squadra, uno dei ruoli più singolari dal punto di vista mentale, è proprio il portiere. In che senso più singolari?
Innanzitutto, spazio e tempo. Spazio per la particolare posizione che ricopre in campo, si trova in una condizione privilegiata per osservare tutte le dinamiche che avvengono sia nella propria squadra, che negli avversari. Tempo, per l’alta variabilità di questa componente. A volte, il tempo si restringe costringendo il “Numero 1” a interventi frenetici, altre volte si dilata talmente tanto che i rischi della disattivazione e della distrazione sono dietro l’angolo.
Proprio per queste caratteristiche, il portiere deve gestire al meglio la sua comunicazione con il resto della squadra, anche se a volte si tende a dimenticare l’altrettanto importante comunicazione con sé stessi.
Per l’apertura di questa rubrica e l’interessante collaborazione negli anni, ringrazio Paolo Del Grosso per la sensibilità e l’attenzione mostrata alle dinamiche della componente mentale nella preparazione dei “Numeri 1”.
Nei prossimi articoli per La Casa del Portiere scenderò nei particolari di alcuni aspetti della componente mentale dell’allenamento dei “Numeri 1”.